Sezione A
Francesca Coppola
Con qualche pudore
L'amore resta
apparecchiato agli angoli
quando qualche posata afferra aprile,
mi chiedo/sveglio per non rinunciare
quando qualche posata afferra aprile,
mi chiedo/sveglio per non rinunciare
(dirai che c'era
il fresco,
su, stancami, ti prego)
e complico la stanza, il silenzio, le dita
su, stancami, ti prego)
e complico la stanza, il silenzio, le dita
aprirsi e
scoprire i rami secchi
dai capelli senza accessori ai freni
dai capelli senza accessori ai freni
un ritrovo
sospeso di maniche
- non sono Anna -
- non sono Anna -
e ci sta bene la mollica al marciapiede
rincorrere la vergogna, appesa al palo.
2° classificato – n°286
Franca Donà
La nostra, che non è
poesia
E siamo d’aria,
siamo solamente
il peso dei
pensieri, uno sternuto
un tuffo nel
passato, un volo a piedi
fermi in questa
nostra vecchia nuvola
siamo memoria di
cortili polverosi
tigli che
odorano di storia, inni masticati
sotto bandiere
stanche e scolorite, e nemmeno
l’eco dei padri
a rimboccarci l’anima
siamo i primi
passi sulla luna
da uno schermo
in bianco e nero
i primi passi da
figlio e poi maestro
stesso sguardo
orgoglioso e la paura
siamo la bugia
innocente per nascondere
il niente
dimenticato e dell’andare al vento,
quel rubare
tempo al tempo per non morire
per noi che
siamo fiato, e neppure poesia.
3° classificato – n°192
Silvio Perego
a volte è come non esistere
a volte mi
sembra di non esistere
e di essere una
cosa
boom – boom –
boom che ne so
una sedia, una
finestra
un frigorifero o
una calcolatrice
roba del genere
e anche se poi
mi dicono
che è tutta una
questione di mancanza d’affetto
io non è che ci
credo
non credo mai a
quello che mi dicono, io
no, davvero
questo lo so
so bene cosa
vuol dire
e non mi
confondo più (intanto)
e poi, metti,
pure che si fa un po’ d’amore
o che tiro su un
po’ con il naso
che mi gratto il
culo
giusto per far
passare il tempo e aver l’idea di star facendo qualcosa
o che me ne sto
tutta l’interminabile domenica pomeriggio sul divano
in mutande, ad
aspettare che l’Inter faccia un gol
o metti anche
che provo a razionalizzare
il
pseudo-pregiudizio sociale sul prossimo
e di non poter
far nulla
e dimenarmi
distruggermi
tormentarmi
addormentarmi
per scoprire che
è tutto qui
così, e che alla
fine
nonostante tutto
la colpa è stata
di tutti noi -
ma - serenamente - quanto vorrei sentirmi
dire che sto sbagliando
e scoprire di
non esistere per davvero.
Menzione speciale:
n° 97. Pasquale Capoluongo,
il
mondo m’è giungla
mio
caro lo vedi
mi usano ti usano
lo
so
non
lo sai
il
mondo m’è giungla
mio
caro
oggi mi chiamano
poi
mi domandano
rispondo
chi?
cosa?
chi?
quando?
solo
coi sì
rispondi
tu
e mai domandi
il
mondo m’è giungla
mio
caro
liane
leoni
lame
lesioni
ti
vogliono al sangue
oppure ben cotto
dipende dalla voglia
che c’han del momento
il
mondo m’è giungla
mio
caro
se ci caschi ci casco
se tu mi ci butti
ma
mondo è bugia
se invece di lune
mi doni cerotti
153.
Simone Maculan
Non so nulla del tempo in cui nacqui.
Dicono ci fosse
il muro e la P2, ma non lo darei per
scontato.
Chernobyl rimase un buco sulla mappa
e nessuno mi spiegò se Pinochet
dovesse o non dovesse andare a capo.
Di quegli anni rimane semmai qualche
sbiadita
foto, ricordi opachi che a fissarli
viene un senso di estraneità: un’altra
epoca, una recondita
plaga del mondo. Fissiamo l’obiettivo,
bruni
e cisposi dentro a maglioni
più grandi di noi – abbiamo freddo,
penso,
gli inverni sono inverni. E
le nostre madri son ventenni
attempate dietro a montature d’osso.
Papà sorride all’obiettivo, rattenendo
la cicca tra le dita. E chi l’ha visto
fumare prima d’ora?
Ha baffi spioventi come il tempo
e jeans a zampa.
Se penso a lui,
lo vedo all’ombra di un abat-jour, nella
mia stanza.
Marco non c’è, forse non è nato.
E mentre scivola su me il fidato
ticchettio dei tasti, su tutti
il decennio feroce – l’ennesimo –
tiro le coltri sul capo, mi rannicchio al
muro.
Con te al mio fianco, penso,
non ho paura del buio.
Menzione speciale:
N° 297
Vincenzo Furfaro
Piacenza
//mi piace che mi piaci.
A Dio piacendo piaceresti anche a Lui.
Ma se solo ti piacessi quanto tu mi piaci,
vedresti,
piacerebbe anche a te,
A Dio piacendo piaceresti anche a Lui.
Ma se solo ti piacessi quanto tu mi piaci,
vedresti,
piacerebbe anche a te,
//mi piace che non sai quanto mi
piaci.
E se di te tutto mi piacesse,
avresti solo voglia che mi piacesse ancor di più.
Poi mi accorgo che un Tempo ti piacevo,
E se di te tutto mi piacesse,
avresti solo voglia che mi piacesse ancor di più.
Poi mi accorgo che un Tempo ti piacevo,
e vorrei fossimo come quando
un Tempo un po’ ci piacevamo.
//mi piace pensare al piacere.
Pensare che piacendoti mi legheresti
le mani e i nodi della barba e le paludi di piacere
ai tuoi momenti,
di quel piacere nudo
che adesso poi ti piace
Pensare che piacendoti mi legheresti
le mani e i nodi della barba e le paludi di piacere
ai tuoi momenti,
di quel piacere nudo
che adesso poi ti piace
//a me di più, piace.
Ma non saprei come altro dirlo
se non mi piacesse la tua fine
quella in cui mi baci
e mi suggerisci che
non hai smesso di piacermi...
Ma non saprei come altro dirlo
se non mi piacesse la tua fine
quella in cui mi baci
e mi suggerisci che
non hai smesso di piacermi...
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Sezione B
1° classificato
N°65. Linda Laffi
Di tutto rimaneva il gesto
del braccio teso alla credenza,
il bicchiere girato sul ripiano più alto
come una promessa di ritorno della mano al vetro.
E quando sei partito
tutti sapevamo
che non ci sarebbero state altre dita
e siamo stati dritti nel giusto verso,
abbiamo tenuto il respiro
chiedendoci chi avrebbe sporto la mano,
lavato il bicchiere.
Chi avrebbe ammesso ad alta voce
che l'armadio andasse svuotato.
2° classificato
N°69. Lucia Celli
L’anteporsi delle parole
Le parole
possono affermare
o
contemporaneamente negare
un detto che
abbia significato,
ma che potrebbe
anche essere insensato.
La ragione è
costretta ad andare,
a seguire ciò
che deve spiegare,
questo è il suo
tormentoso stato:
si rifugia in un
mondo inventato.
Eppure un
maggiore appagamento
di quando il
caso accosta due parole
e la mente
riesce nell'intento
di attribuire
loro quel che vuole,
dimostrando con
un vago argomento,
provare tale
gioia non si suole.
N°80
Sebastian Zamaro
[Danza]
Desidero
solo te, perché voglio non avere altro.
Non altro
che vesciche alle mani, vesciche ai piedi
stilettate ai tendini quando siedi.
Fitte ad
ogni muscolo di schiena e gambe se ti alzi,
bruciore, mancata epidermide quando lo facciamo scalzi.
Voglio
solo sentire la tua mano sul tessuto intriso di sudore,
stringere i denti, dolore per un domani migliore.
Voglio
che l'unico odore sia quello del pavimento,
il
sapore di tecnica, poi allegrezza nel farlo col vento.
Voglio
capelli in bocca, sussulti, vagiti, lacrime e strilli di gioia
quando mi svegli nel cor della notte pur di salvarmi da
Noia.
Solo te attorno a me,
solo te il corpo sente.
Menzione speciale:
14. Maria Ponticiello
In principio
Ciascuno scelga,
scelga con cura
i costumi da sfoggiare
sul proprio
palco scenico.
Nessuno
azzardi,
azzardi a decidere
quali saranno
senza prima aver
consultato la propria alma.
Chi si sente
pronto cominci,
cominci a
recitare
senza il desio
di destare
invidia,
lode,
o pietà
dagli spettatori
nel teatro.
Coloro che si
amano,
che hanno paura
di sfidare
il destino
ma coraggio
sufficiente per guardarlo negli occhi
sognino,
incondizionatamente
perché i sogni
insegnano.
Insegnano
a sorridere
e
a piangere,
a farlo contemporaneamente,
a farlo contemporaneamente,
a piangere per poi sorridere
e
a sorridere mentre si piange,
ma più di ogni altra cosa insegnano a vivere.
Menzione speciale:
21. Giuseppe Bandiera
Che buffa la natura
Che buffa la natura, con colori
magici arriva agli occhi; passando
dal verde, al giallo e al rosso.
Ricca di vita: di piante e animali
racchiusi in un cerchio.
Smuovono le mie emozioni
colme di fantasia. Mi adagio in
un prato, pensando d' essere farfalla.
Menzione speciale:
52. Leonardo Donà
Con gli occhi gonfi
Nel vortice di
confetti e riso
che vi gettarono
addosso alla buona,
non erano suoi
lo sguardo e il sorriso:
appartenevano ad
altra persona.
E oggi nel
turbinio di giorno e notte,
tra sorrisi
forzati e pianto sincero,
fra le mani tue
a schermire le botte
e l’implorare un
perdono menzognero,
della tua vita
dipani il filo;
e più tu incedi
nel corso dei giorni
sempre al buio
domandi asilo
e preghi Dio che
lui non ritorni.
Ma lui ritorna
ogni volta,
e gli occhi
teneri e poi la cieca furia
ed ogni suo
schiaffo e ogni sua ingiuria
ti fanno pentire
della tua scelta.
Sciogli gli
occhi tuoi al pianto,
sfoga l’opprimente
nodo alla gola,
non con le
lacrime soltanto:
è sufficiente
una tua parola.
Ma tu come di
fiore esile stelo
nella tua vita
stai, ferma,
come statua che
un pugno deforma,
il viso stanco,
nel cuore il gelo,
lugubre, triste
come fronda di ramo,
il dolore di
dentro, la disperazione accanto,
aggrappata a
un’esile, passato “Ti amo”,
gli occhi gonfi
non solo di pianto.
Menzione speciale:
53. Nicole Monaco
Mezzanotte
Ragnatele di
luna accartocciate
Tutto intorno al
vecchio pendolo
Di cui ho perso
il conto
Dei rintocchi
lontani.
Seduta ad un
tavolo a tre gambe
Gioco a carte
assieme ad un'ombra luminosa,
Per una
scommessa con il destino
Il cui palio è
un ricordo dimenticato.
Un solo pensiero
svolazza nell'angusta stanza,
Sottile come
fumo, denso come nebbia,
Si attacca alla
muffa dei muri e
Si infiltra nei
fori di proiettile.
Il campanile
abbandonato incombe sulla città
Mentre il
fantasma del mio peggior rimpianto
Getta sul tavolo
la sua ultima carta truccata.
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Sezione C
Silvano Zamaro (Canada)
When we meet again
Quando ci
incontreremo di nuovo sarà in Nebraska
non badare alla
pioggia, non temere, non ti chiederò
perché non hai
mai risposto alle mie lettere, amore
era forse
solitudine? era forse paura?
Mi vedesti amare
un’altra ma non scese una lacrima
dai tuoi occhi
blu inquisitivi.
Le nuvole
andavano veloci nel cielo aperto
sussurrasti - come va ? Va bene – risposi.
Quando ci
incontreremo di nuovo sarà settembre
non molto di cui
parlare, poche cose da ricordare
io che passeggio
lungo High Level Bridge, tu che aspetti sul cancello
nella notte
discreta complice, era un gioco del destino?
Non sentirti a
disagio, sai bene che la vita vale la pena viverla
non importa
quanto prendi, finisci sempre per rendere tutto
quello che hai
rubato ad un cuore dimenticato
e non riesco a
sentire una parola di quello che dici
ora che siamo
così lontani.
Devi sapere che
era il tempo giusto per tenerci stretti l’un l’altro
sussurrare parole
mai sentite prima, devi sapere
che nelle mie
notti solitarie cercavo un sorriso sotto ai lampioni
cercavo di te
per tutta la città.
Quando ci
incontreremo di nuovo cadranno le foglie alla betulla
nelle praterie
sconfinate soffieranno i venti del nord
e tu avrai
ancora paura di amare questo mio cuore?
Non badare a
quello che ti chiedo, di sicuro tutto sarà a posto con te.
When we meet again
When we meet again it’ll be Nebraska
never mind the rain rest assure I won’t ask ya
why you never answered to my letters, dear
was it just some solitude? was it some kind of fear?
‘Cause you saw me love someone though you shed no
tears
behind eyes so inquisitive, those eyes of yours so
clear
clouds moving swiftly throughout the open skies
you whispered - how’re
you doing mate? I’m doing fine - said I.
When we meet again it’ll be September
not much to talk about, few things to remember
me strolling down High Level Bridge, you standing by
your gate
in the discreet complicit night, was that a twist of
fate?
Don’t you feel astray, you know well life’s worth
living
no matter how much you take you always end up giving
back everything
you’d stolen to a forgotten heart,
can’t hear a word you’re saying now that we’re so far
apart.
You ought to know the time was right to hold each
other tight
to whisper words we had never heard before
you ought to know in my lonely nights I longed for a
smile under streetlights
you ought to know I looked for you all over town.
When we meet again birch leaves will be fallin’
across the endless plains northerly winds will be
blowin’
will you still be afraid of loving, loving this heart
of mine?
Never mind my asking, sure you will be doing fine.
Leonora Bucinza (Kosovo)
Ci siamo persi, Signore!
Ci
siamo persi nei nostri giorni, Signore.
Anche
le porte delle nostre case dobbiamo bussare.
L'odore
della povertà ci fa vivere senza i sensi.
Vedi
i morti-piediscalzi
camminare
nella nebbia del tempo
lasciando
per strada tracce di sangue, pezzi di cuore,
brandelli
dell'anima.
Ogni
pezzo che cade – cammina per conto suo.
E
così, alla ricerca della propria fine,
ci
siamo persi, Signore,
ci
siamo abortiti come un seme in un grembo sterile,
siamo
un grido in un lutto dove abita il dolore…
Ci
siamo persi, Signore!
Ci
siamo,
Signore!
3° classificato – 19
Alla Melnychuk (Ucraina)
Homeless: storie di persone
Non osavano più
sognare
Marcin si
rannicchiava dietro i ricordi.
Una giornata di
lavoro a indovinare vernici
e una donna che
al ritorno lo attendeva sulla porta.
Stordito mal si
riparava con una bottiglia ormai vuota
impaurito da una
selva di palazzi, occhi, parolacce
che volevano
solo vederlo finire.
Lorenzo in
Germania aveva smarrito la sua lingua madre
dove si era
occupato di realizzare progetti altrui
senza poter sapere
che il suo sarebbe stato in balia
di un inciampo
dell’economia.
Divideva i
cartoni con se stesso, così i giorni al gelo
e i racconti al
vento ostinatamente in tedesco.
Sara,
acquartierata in un vecchio pastrano,
girava e
rigirava sotto i portici dove dormiva
che restavano
gli unici testimoni della sua aggressione,
lei che aveva
fatto della sicurezza la sua professione.
Poi una mano,
più mani, una comunità
e la loro vita
ha ripreso senso, tempo, spazio, dignità.
Adesso Marcin
vede la strada da una stanza calda
non ha bisogno
di bottiglie e spedisce domande di lavoro
per riempire il
suo tempo di nuovi colori.
Lorenzo ha messo
i suoi cartoni in una roulotte
e parla alla sua
gente, quella che sa la povertà
eccezionalmente
in italiano, dice per questioni di lealtà.
Sara vede i
portici dalla sua nuova residenza
sogna di avere
un bimbo che si chiamerà Egidio se verrà.
N°5
Yuleisy Cruz Lezcano
(Cuba)
Carpe diem
Per voci sole e
di cori,
per la recita
degli orrori,
per lo scontro
arenato dell’inerzia,
per il mitico
scontro
del bene contro
il male,
per quel
desiderio d’amore immortale
io voglio
scrivere quel che consola
i giorni degli
uomini confusi
che mettono la
gioia in discussione.
Voglio scrivere
per l’atroce
distacco dell’anima
che celebra i
fatti avversi
e voglio
trasformare con questi versi
la vista di chi
non ha paura
di perdersi nel
destino
senza potere
scegliere
in quale futuro
immaginarsi.
Voglio scrivere
per colui che non sa ripensarsi
nella vita che
ama e nell’amore che dà
perché come una
parabola infinita, la verità,
diviene bugia e
la bugia verità
e su e giù per
l’eternità, l’animo umano
un giorno coglie
una stella con la mano,
il giorno dopo
con la stessa mano si tiene la ferita
di una conquista
smarrita
nell’indugio
dell’attimo racchiuso negli occhi.
Sorrisi
all’interno delle pareti,
la libertà è per
pochi
che hanno
l’animale palpitante nel petto
con voce di
organo vivo
che traduce i
sentimenti in parole;
la libertà è per
le anime che sanno
stare da sole
con l’ombra di una nuvola
che somiglia a
un uccello
e coglie
l’attimo.
N°23
Melita Richter
(Croazia)
Dietro le quinte
Smonto
sposto
disfo
riordino
ricombino
bevo vino
rosso
possibilmente
dal bicchiere grosso
dietro le quinte
sulle ali finte della notte
sul palcoscenico
della vita.
E lì spiffera,
spiffera dalle fessure
snašle su me
neke pozne ure [1]
il crudele vento
fuori orario.
E poi
cala il sipario.
([1]
Mi han raggiunto
delle ore tarde)
n°22
Saro Marretta
(Svizzera)
Saro Marretta
(Svizzera)
Per non partire
Per non partire
avrei venduto
anche la gola.
Quanto ho zappato con i piedi
su tutte le
strade secondarie
sperando che non
mi vedessero
gli occhi vostri
di dragoni. Ma il mio corso
è fatto come le
settimane di Pasqua
- di stazione in
stazione - e colpi d’ago
ai fianchi a
ogni inciampo.
Eppure, quando
partì il mio ultimo treno
c’erano bimbi
che ridevano sulla piazza
delle scuole e
trecce d’aglio alle finestre
bianche di
calcina. Lo sapevate ch’era
un serpente
senza ragione il mio treno.
E io vi avrei
uccisi tutti per l’invidia,
voi che
restavate in paese
con le
sgangherate risa sotto i balconi
e gli occhi
furbi alle ginocchia
delle donne che
stendevano panni.
Quanto hanno
danzato
queste risa
sgangherate. M’assaltano
la notte per il
petto. Avrei voluto
non nascerci in
questo paese.
Avrei voluto che
il mare coprisse
le vostre teste
con tutta la zagara e gli ulivi
in una mattina
di sole, a tradimento.
Rinunciare a
questa parlata, magra
come i cani che
ammazzate nelle
trazzere. Ma è
autunno anche qui
che soffia aria
sulle foglie.
E aspetto che
gli anni passino
per venire a
contare assieme a voi
voli di rondini
in piazza e sulle case.
Ma cala il sole
e si affievolisce sempre più
questa speranza.
Um nicht fortzugehen
Meinen Kopf
hatte ich hingegeben,
nicht fortgehen
zu müssen. Wie oft habe
ich auf unseren
Feldwegen Fuss vor Fuss
gesetzt, der
Kies knirschte, die Steine flogen,
bang war mir vor
eurem Drachenblick.
Doch mein Gang
gleicht dem Kreuzweg:
von einer
Station zur anderen; Dornen links
und rechts, bei
jedem Fehltritt.
Damals, als mein
letzter Zug wegfuhr,
lachten
Schulkinder auf dem Platz
vor dem
Schu1haus und Knoblauchköpfe
hingen an
kalkweissen Fenstern. Ihr wusstet,
dass mein Zug
eine Schlange war,
ohne Kopf und
ohne End. Ich hätt euch umgebracht
vor Eifersucht,
euch Zurückgebliebene,
die ihr grinstet
und unter den Balkonen listig
nach den Beinen
der Weiber spähtet,
die Wasche an
die Leine hängten.
Lange noch
tanzten sie vor mir.
eure
Wackelmäuler. Nachts überfallen sie meine Brust.
Ich wollte, ich
wäre nie
geboren worden
in eurem Dorf.
Ich wollte, dass
das Meer euch ersäufte
samt Orangen und
Oliven
eines
verräterisch sonnigen Morgens.
Ich wollte eure
Sprache verleugnen.
Sie ist so mager
wie die Hunde,
die ihr tot auf
den Viehpisten hinterlasst.
Doch auch hier
ist Herbst.
Der Winter
streicht durch das Laub.
Ich warte, dass
die Jahre vergehn,
dass ich kommen
darf und mit euch sehn,
wie oft die
Schwalben über Platz und Häuser fliegen.
Es versinkt die
Sonne,
und immer
geringer wird mein Hoffen.
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