Poesie vincitrici

Sezione A - poesia inedita adulti


1° classificato


Ksenja Laginja                               

Crescevano animali straordinari
quando tendevamo l'orecchio alla tana
l'arca che avrebbe portato in salvo ogni cosa
riordinando l'istinto e le parti.

La madre era la grande noce da mordere
il latte nutriente che sfama i giovani lupi
nell'attesa maturazione del nome.

Avevamo i piedi immersi alle caviglie
su cui germogliavano nature di sale e di pietra
come bocche pronte a frantumarsi sull'onda.

L'oceano lo sa, l'oceano lo grida:
“È tempo di credere, di trasformare
la voce in pane quando risuona il nome
sul vento compresso e accucciato nel ventre
dove la tana è il ritorno alle acque”.


2° classificato

Francesco Indrigo
                   
L'avignì pì lunc

E adès ch'a ni àn pareciat
la taula cu li' vanzadisis
dai discors, cu li' friguis
da li' peraulis se ni restia di dî?
Contassi forsi la memoria dal sun,
casumai fa la conta dai sfris,
coma chei ch'a intachin i tacumacus
dai paîs in viàs ta la valìs, cun chê
di portassiu a cjasa. La sagra a è finida,
àn smontat li' giostris, sbaracat
i tendons e distudat  il ros da li' canzons,
e nun 'i vin vanzat doma il biliet frovat,
pleat in doi ta la sacheta da li' barghesis,
uchì, tal marciapiè di un nord
di ‘na stassiòn sidìna, a sbati i sandui
ta li’ piastrelis sbecadis e cu ‘na lȗs
mai vidùda prin, impetàda tai vui.

Il futuro più lungo / / E adesso che ci hanno apparecchiato / la tavola con gli avanzi /dei discorsi, con le briciole / delle parole cosa ci resta da dire? / Raccontarci forse la memoria del sogno, / casomai fare la conta delle cicatrici, / come quelli che attaccano gli adesivi / dei paesi viaggianti sulla valigia, con l'intenzione / di portarseli a casa. La sagra è finita, / hanno smontato le giostre, sbaraccato / i tendoni e spento il rosso delle canzoni, / e a noi è rimasto solo un biglietto consunto, / piegato in due nella tasca dei pantaloni, / qui, sul marciapiede di un nord / di una stazione taciturna, a battere i sandali / sulle piastrelle scheggiate e con una luce / mai contemplata prima, appiccicata sugli occhi.

3° classificato 

Marco Di Pasquale                   

SCORDA LA PENDENZA

la sento che mi intralcia
questa pietra nella bocca
che non voglio ingoiare
mi trattengo ogni ora e giorno
senza quasi respirare e dico
che si sfalda la resistenza

e allora il cavo orale scorda
la pendenza sennò sarebbe
assalita dall’urlo gastrico
e la dentatura non saprebbe
tenere gli argini a salvare
le labbra fragili e gli abbracci

Menzioni speciali

Davide Rocco Colacrai             

Ti sei accorta anche tu che siamo tutti più soli? – dedicata al mio cane Manny  (perché quello che siamo stati sarà)[1]


Sono crocifissa a mezza libellula
sull’ala che sa di terra,
l’osso già storto del mio corpo preme
contro quei sogni
che la lacrima, che prospera,
scioglie in una fossa
dove si asciuga quanto resta del mio nome,
un brivido prova a farmi volare
ma resto polvere
dove l’edera e il cuore.

Si sbriciolano le ore a cenere
nel ricordo delle attese davanti al focolare,
la testa sul cuscino
che sa ancora di mio padre,
di quell’azzurro dei suoi occhi
che accenna l’azzurro dell’ultimo cielo,
di favole che scivolano
tra fiorami d’ombre
dove la neve e la parola.
E mentre lentamente resto nuda
e si disfà il mio corpo
da mezza libellula a geranio che colora quest’istante
incerto eppure dolce,
mentre la polvere è polline di stelle
e il cuscino una nuvola d’amore
nel calore di qualcosa di bello,
le striature bianche di pelo danno un senso
al mio desiderio che precede il mio piegarmi in me stessa al mondo

il ricordo fisico di mio padre,
la sua mano a sincerarmi che quello che siamo stati sarà.


[1] Citazione dalla canzone di Cesare Cremonini, Nessuno vuole essere Robin

Ezio Solvesi    
                         
Poeti

Ogi
metèmo in fila qualche verso,
co ne vanza ‘l tempo,
dopo ‘l lavor.
Poeti i ne credi.
“Maestro” i ne ciàma,
forsi per ciòrne pel cul.

Doman,
se n’andarà propio de viola,
sburterèmo radìcio
e gaverèmo ‘l nome in t’una targa
impicàda sul muro
de ‘na strada de periferia.

Traduzione dal triestino

POETI:  Oggi / mettiamo in fila qualche verso, / quando c’è tempo, / dopo il lavoro. / Poeti ci credono. / “Maestro” ci chiamano, / forse per prenderci in giro. // Domani, / se avremo proprio tanta fortuna, / saremo al cimitero / e avremo il nome su una targa / su un muro / d’una strada di periferia.


Lia Grisolia
                              
Vendesi

Vendesi la casa che giace
smorta, alla fine del quartiere;
La luce degli occhi di giovani che
Partono o restano;

La terra che calpestiamo:
Il suono della zampogna
Il convento che cade
La pazienza che è a saldo
Il volto del santo patrono

Vendesi su cartelli colorati
In tutte le strade del paese
al miglior offerente
 cuori pulsanti
Allarmi pesanti
E traumi efferati.

Vendesi e affittasi
Consapevolezza, afflato, destini giurati
Coraggio insperato.
Novità, idee e giuramenti
Orgoglio, dignità.


Sezione B - poesia inedita under 21

1° classificato 

Rahel Bellarosa       

Picciridda

Siett’anni m’arricurdo a nonna cà mi spremi
‘e guance pien ‘e  pane, russe ri calura
mentri zia mi dici “si ‘na creatura!”
cunzannu tavula pi u pranz’anzemi.

Pumiriggi cu i pedi o vientu austinu
sé caudi cà ùora chiancio si ci penso
comu puru du profumo ‘ntenso
de l’arbulu du girsuminu.

Durmennu supra u dondulo
‘nfin quannu cala a sira
svigghiata dò cantari di li rane

cu zia cà mi dà du’ moffe sane
buciannu: “jè pi fari a pieddi dura”
e mi fa ‘n sorriso pendulo.

(Traduzione)

A sette anni mi ricordo la nonna che mi strizza
le guance piene di pane, rosse per il caldo
mentre zia mi dice “sei una bambina!”
apparecchiando la tavola per il pranzo assieme.

Pomeriggi coi piedi al vento agostino
così caldi che ora piango se ci penso
come pure del profumo intenso
dell’albero di gelsomino.

Dormendo sul dondolo
fin quando cala la sera
svegliata dal cantare delle rane

con zia che mi dà due begli schiaffi
gridando: “è per farti la pelle dura”
e mi fa un sorriso sconsolato.

2° classificato

Francesca Mariapia Albamonte   

Picasso

Non ho voce buona per gridare a squarciagola,
né ho occhi buoni se m’azzardo a cercare, con lo sguardo,
l’intesa di un benefattore che mi strappi via da te,
né unghie affilate per graffiarti,
vuoti d’aria i miei polmoni,
prigioniera di un amaro miele la lingua,
se apro bocca per chiamare aiuto,
recisa ogni lama, quando provo a fermarti con parole taglienti.
La forza abbandona la mia mano prepotente che s’avvicina al tuo collo:
ne restano soltanto granelli,
mi permettono di non perdere le ali,
al di là della tua ombra.
Nascosta al buio,
resto qui a giacere,
in ginocchio,
inerme e indifesa,
sotto i colpi degli occhi tuoi sbarrati,
di te impiccato,
funesto quadro.

3° classificato

Niccolò Valtulini                   

(ombra)


sei stata per me
l’ombra serena che non torna,
l’ospite inatteso
rimasto alla soglia, il verbo
che non si coniuga, il perdono
inascoltato, un tacere
di nuvole che vanno, un piovere
a scrosci
su terra scura,
se ciò che di me sapeste
non fu che la scialbatura

Menzioni speciali

Giulia Dargenio 
  
Pioggia

L’alba color cenere,
la giovine serve dolciumi
nell’antro di prugno rinsecchito.
La vecchia altrove scrive lettere
alla donna che un tempo fu sua figlia.
Ed ora, ode l’introvabile
silenzio.
Ed ora, piange sulle sue tele di velluto.

Fuori piove.


Martina Perodi     

Un po’ troppo

decisamente troppo!
Troppo di troppo, troppo di tutto,
troppo davvero, un troppo sincero,
un troppo pesante, troppo insistente,
troppo poco però, troppo a pensare a quel che sarò,
un troppo spesso o troppo mai, è troppo lo sai,
troppo eccessivo, un troppo cattivo,
un troppo che è misura del tempo più lento,
è troppo aspettare anche solo un momento,
troppo di qua, il troppo ora sa
che sei troppo stanca per proseguire
e questa cosa è troppo per continuare a mentire
è troppo per te, troppo per noi,

un troppo che di troppi non ti bastano i tuoi?



Laura  Palumbo     

SHAKESPEARE

Attorno i tuoi occhi di cera un incendio,
sugli occhi strizzavi le viole
ma lei era immune ai filtri d’amore.
Dopo aver letto Ariosto,
nel cuore di qualcun’altro 
non voleva più affittarsi un posto.

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